l Trust e il passaggio generazionale dell’Azienda di famiglia
Il tema del passaggio generazionale dell’azienda di famiglia è un argomento spinoso che ha animato i professionisti almeno per l’ultimo decennio, in particolare nel tessuto imprenditoriale del Nord-Est, dove si stava appunto verificando il subentro ovvero il passaggio dell’azienda tra padre e figli.
Ciò detto, il tema qui affrontato, ossia il passaggio generazionale dell’azienda di famiglia, non può più esaurirsi nella semplice garanzia di integrità del patrimonio che, per mezzo del testamento, si trasmette identico da un soggetto ad un altro, ma si tratta di affrontare e risolvere questioni che necessitano di soluzioni nuove e diverse.
Il trust può essere proprio lo strumento successorio in grado di garantire continuità ed efficienza alla realtà aziendale, permettendo di superare le possibili fasi critiche legate al passaggio generazionale che possono essere dovute dalle scarse capacità manageriali, dalla litigiosità all’interno della famiglia interessata al cambio di compagine sociale ovvero per gestire le diverse scelte che i singoli componenti della generazione successiva vogliono compiere.
Le problematiche sopra enunciate sono maggiormente sentite, purtroppo, nella media e piccola realtà aziendale atteso che in queste realtà molto spesso accade che il management è strettamente collegato con i soci che rappresentano la famiglia fondatrice dell’azienda. Verificate le problematiche, si evidenzia come, ad oggi, sul tema si possono utilizzare solamente quegli strumenti, poco dinamici, che il nostro Ordinamento mette a disposizione in funzione successoria e a presidio dell’attività economica; questi sostanzialmente sono costituiti dalle previsioni statutarie che possono prevedere o negare l’ingresso nella compagine sociale a soggetti diversi dai discendenti dell’imprenditore.
Lo strumento “trust” permette di risolvere questo problema. In via preliminare, tuttavia, corre l’obbligo di esaminare la compatibilità di detto istituto con i divieti e le tutele previste nel nostro sistema successorio, quale il divieto del patto successorio (art. 458 c.c.), del fedecomesso (art. 692 c.c.), dell’usufrutto successivo (art. 698 c.c.), la successione necessaria e l’eredità devoluta per mezzo di testamento (art. 457 c.c.).
Si evidenzia che l’istituto in commento non viola e non è in contrasto con gli istituti romanistici sopra richiamati e ciò per le ragioni che qui andremo ad esporre.
La Giurisprudenza e la dottrina sono concordi nel ritenere il trust un istituto non confliggente con i suddetti divieti (vedasi in tal senso Corte di Appello Firenze – 9 agosto 2001; Trib. Lucca, 23 ottobre 1997). Le argomentazioni, poste a fondamento di tali decisioni, possono riassumersi nei seguenti due punti:
A. il disponente (l’imprenditore) dispone dei suoi beni trasferendoli nel trust quando è ancora in vita. Si evidenzia, quindi, che si tratta di un negozio cosiddetto inter vivos e non mortis causa;
B. il beneficiario, che potrebbe essere un erede, non conclude con il disponente alcun contratto: il trust si istituisce per atto unilaterale da parte del disponente e il trustee accetta successivamente e solamente quando si costituisce il trust. Inoltre, l’istituto in commento non è nemmeno in contratto con il divieto di fedecomesso di cui all’articolo 692 c.c. che vieta che l’erede conservi i beni oggetto di eredità per, poi, ritrasmetterli secondo una linea predeterminata.
Per quanto concerne la successione necessaria, si osserva che nell’ambito del nostro Ordinamento vige il principio della libertà testamentaria; il Legislatore ha, infatti, individuato alcuni soggetti ai quali riservare coattivamente una parte dell’asse ereditario a prescindere dalla volontà del testatore. Il trust non ha, in sé e per sé, la volontà di ledere la quota di riserva prevista dal Legislatore.
Se nelle disposizioni attuative del progetto del trust verrà lesa la quota di riserva, il successore necessario potrà agire giudizialmente per impugnare l’istituto in commento do modo che questo venga dichiarato inefficace (e non nullo) nella parte e per la misura necessaria a reintegrare la porzione di quota legittima violata. L’art. 698 c.c. prevede che la disposizione con la quale è lasciato l’usufrutto, una rendita od un’annualità a più persone successivamente, vale solo nei confronti dei primi chiamati a goderne.
CASO ESEMPLIFICATIVO
In ipotesi di utilizzo dello strumento in commento, l’imprenditore è titolare della maggioranza del capitale sociale.
Tipicamente ne è anche l’amministratore unico e questi ha tre figli. Il nostro imprenditore vorrebbe detenere la guida dell’azienda finchè rimane in vita e desidera che, alla scomparsa, la stessa passi al primogenito. L’imprenditore vorrebbe, altresì, che il suo pacchetto di controllo non venisse aggredito da eventuali creditori e che tale tutela permanesse anche in seno agli eredi. Il trust potrebbe essere costruito e strutturato nel modo che segue:
1. l’imprenditore dispone il proprio pacchetto di controllo in trust rendendolo non aggredibile dai creditori;
2. l’atto istitutivo potrebbe prevedere che egli rimanga sempre alla guida dell’impresa dando precise istruzioni in tal senso al trustee e, ancora che, fin tanto che in vita, a lui spetteranno i redditi di quella partecipazione;
3. che, alla sua morte, il trustee nominerà il primogenito amministratore unico e gli altri fratelli nulla potranno eccepire in tal senso non ricoprendo la veste di socio;
4. che tutti i fratelli percepiranno i dividendi secondo quanto statuito nell’atto istitutivo del trust rimanendo le quote non aggredibili dai creditori di questi ultimi. In conclusione, alla luce anche dei precedenti interventi sul tema, appare evidente che l’atto di trust è un contenitore dove il disponente (l’imprenditore per quanto concerne il caso di specie), nel rispetto delle norme codicistiche, può senza dubbio operare per soddisfare le proprie pretese.
fonte: http://www.professionegiustizia.it/notizie/notizia.asp?id=277