La messa a perdita dei Crediti non Riscossi
Il Decreto Sviluppo 883/2012 cambia la fisionomia del recupero del credito di modesta entità.
All’art 33 quinto comma, introduce un importante chiarimento sul regime della deducibilità delle perdite sui crediti. Novità che va ad incidere, in qualche modo, nella ordinaria e quotidiana attività di molti legali.
Solitamente, infatti, le aziende ricorrono (anche su consiglio del proprio commercialista) all’attività dell’avvocato per porre finalmente in perdita, ed eliminare da bilancio, i vecchi crediti mai riscossi e di impossibile se non difficilissima riscossione.
La deduzione del credito, infatti, a norma dell’art. 101, comma 5, del TUIR, era permessa solamente qualora l’insolvenza del debitore sia supportata da elementi “certi” e “precisi” che indicano l’intervenuta definitività della perdita del credito, in tutto o in parte.
Nell’imbarazzo su cosa significasse tale terminologia e quale dovesse essere l’elemento di certezza e definitività, solitamente si dava incarico ad un legale per tentare il recupero del credito. Solamente alla fine del lungo iter processuale, in presenza di un verbale di pignoramento negativo, solitamente si poteva dare per assunti gli elementi richiesti dalla normativa fiscale per la messa in perdita del credito. Quando, addirittura, non si riteneva la necessità di depositare anche una istanza di fallimento.
Con il Decreto Sviluppo si cambia presupposto, si permette la eliminazione dei vecchi crediti di modesto importo con specificazione, ex lege, di quali siano questi crediti di modesto importo.
Questo il testo dell’art. 5 del D.L. 883/2012, così come convertito in Legge.
5. Il comma 5 dell’articolo 101 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e’ sostituito dal seguente:
«5. Le perdite di beni di cui al comma 1, commisurate al costo non ammortizzato di essi, e le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore e’ assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Ai fini del presente comma, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il credito sia di modesta entita’ e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso. Il credito si considera di modesta entita’ quando ammonta ad un importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di piu’ rilevante dimensione di cui all’articolo 27, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese. Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito e’ prescritto. Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in dipendenza di eventi estintivi».
Quindi, da oggi in avanti, si potrà distinguere il caso di credito di modesta entità dal credito non avente tale caratteristica.
Per quanto riguarda la deduzione delle perdite di modesto valore:
L’elemento certo e preciso necessario alla deduzione si ha se
1) il credito è di modesta entità e se
2) sono trascorsi sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso.
Ma fondamentalmente viene fissato un criterio per stabilire quando un credito è di modesta entità, vale a dire quando
– è di importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione, cioè imprese che conseguono un volume d’affari o di ricavi (entità che non sono necessariamente coincidenti) individuati dai seguenti valori: 300 milioni di euro fino al 2009; 200 milioni di euro per il 2010 e 150 milioni di euro dal 2011, ai sensi dell’art. 27, comma 10, del D.L. 185/2008;
– di importo non superiore a 2.500 euro per le altre imprese.
Va da se che per tutti i suddetti crediti (Competenza del Giudice di Pace), ogni azienda potrà verificare se valga la pena affrontare un tentativo di recupero (con possibilità che la spesa superi il capitale da recuperare) oppure lasciare andare il credito e porlo in perdita.
Interessante, anche, è capire gli effetti che la cosa possa avere, nella prassi, in relazione alle frequenti ipotesi di “cartolarizzazione” o cessione del credito, quando si sia in presenza di un credito di modesta entità e siano trascorsi più di sei mesi dalla nascita dello stesso.