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Tassazione di dividendi: giurisprudenza UE e la direttiva “Madri e Figlie”.

Mio Logo 2014Sebbene con qualche anticipo rispetto alle naturali scadenze fiscali in materia, ci pare utile ricordare quanto pronunciato dalla Corte di Giustizia Europea – con sentenza resa in data 13 marzo 2013 – che nell’occasione ha fornito chiarimenti significativi sulla disciplina relativa alla tassazione degli utili da partecipazioni derivanti da rapporti fra società appartenenti all’Unione europea.

Parti del procedimento sono Margaretha Bouanich contro Directeur des services fiscaux de la Drôme – Causa C-375/12. Il rinvio pregiudiziale del giudice francese (Tribunal administratif de Grenoble) atteneva all’applicazione degli articoli Articolo 63 TFUE – Libera circolazione dei capitali – e Articolo 49 TFUE – Libertà di stabilimento – in relazione all’applicazione del regime di imposta sul reddito delle persone giuridiche in presenza di un meccanismo di fissazione del massimale delle imposte dirette in funzione dei redditi, alla luce della esistente Convenzione fiscale bilaterale diretta ad evitare la doppia imposizione e in materia di tassazione dei dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato membro diverso e già assoggettati a ritenuta alla fonte.

In massima sintesi, dunque, la questione sottoposta al vaglio dei giudici europei verte sul metodo di calcolo della quota di dividendi da assoggettare a tassazione nello Stato di residenza della società madre qualora gli stessi utili da partecipazione siano stati soggetti a ritenuta d’acconto nel Paese della società figlia.

La Corte di Giustizia ha risposto alle questioni sollevate affermando che: “gli articoli 49 TFUE, 63 TFUE e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro in forza della quale, allorché un residente di tale Stato membro, azionista di una società stabilita in uno Stato membro diverso, percepisce dividendi tassati in entrambi gli Stati e la doppia imposizione è risolta mediante l’imputazione nello Stato di residenza di un credito d’imposta pari all’importo dell’imposta versata nello Stato della società distributrice, il meccanismo che fissa un massimale alle diverse imposte dirette corrispondente a una certa percentuale dei redditi percepiti nel corso di un anno non tiene conto dell’imposta versata nello Stato della società distributrice, o ne tiene conto soltanto parzialmente“.

Ma verifichiamo il processo logico che ha condotto alla decisione in parola. La direttiva n. 90/435/CE, meglio nota come direttiva “madri e figlie”, ha come obiettivo quello di annullare la doppia imposizione giuridica ed economica sulla distribuzione di utili fra società comunitarie. Per raggiungere tale scopo il meccanismo previsto è quello di non tassare tali dividendi nel paese della società madre (meccanismo dell’esenzione) o, in alternativa, riconoscere, sotto forma di crediti d’imposta, i prelievi erariali effettuati nel paese di residenza della società figlia (metodo dell’imputazione). In base all’articolo 4 comma 2 della direttiva in specie, qualora lo Stato membro abbia optato per il metodo dell’esenzione, lo stesso ha la possibilità di assoggettare a tassazione oneri relativi alla partecipazione e minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili che, se quantificati forfettariamente, non possono eccedere il 5 per cento degli utili distribuiti dalla società figlia. La direttiva ha inoltre abolito, con eccezione di alcuni Paesi europei, la ritenuta sugli utili corrisposti a società comunitarie a condizione che la percentuale di partecipazione ecceda il limite minimo del 25 per cento (articolo 5). Secondo l’articolo 7 comma 2 della stessa direttiva, infine, non è pregiudicata l’applicazione delle disposizioni nazionali o convenzionali dirette ad eliminare e ad attenuare la doppia imposizione economica.

Or bene, applicando tale regola al caso trattato che, ovviamente deve essere considerato facendo  attenzione al diritto francese, nel calcolo del 5 per cento sono compresi anche i crediti d’imposta nazionali ed esteri i quali, sempre secondo le norme vigenti nel Paese transalpino, possono essere “recuperati” qualora gli stessi dividendi, percepiti dalla società figlia comunitaria, sono distribuiti dalla società madre francese ai propri azionisti entro il termine di 5 anni.

Il dubbio sottoposto ai vertici di Bruxelles dal Conseil d’Etat francese deriva proprio dagli effetti che si producono qualora la società madre francese non distribuisca tali dividendi entro 5 anni.

Le autorità francesi, infatti, hanno richiesto al Supremo organo di giustizia europeo di chiarire se una normativa nazionale che preveda di computare nel calcolo della quota di utili da partecipazione da tassare i crediti d’imposta derivanti dal calcolo di ritenute alla fonte estera, sia coerente con la normativa comunitarie ed in particolare con il disposto dettato dall’articolo 4 n. 2 della direttiva n. 90/435/CE.

E, come anticipato, il giudice europeo ha ribadito, in via preliminare, lo scopo della direttiva n. 90/435/CE che si sostanzia nell’intento di “assicurare, sotto il profilo fiscale, la neutralità della distribuzione di utili da parte di una società controllata con sede in uno Stato membro alla sua controllante stabilita in un altro Stato membro” avendo poi cura di precisare che che i crediti d’imposta hanno lo scopo di evitare la doppia imposizione in senso giuridico, ovvero a evitare che gli utili distribuiti da una controllante alla sua controllata siano tassati una prima volta, mediante il meccanismo della ritenuta alla fonte, nel Paese di residenza dalla controllata e successivamente anche nel Paese dove è stabilita la controllante.

La fattispecie in esame, pertanto, non può essere analizzata alla luce delle disposizione previste dall’articolo 7 n. 2 della direttiva “madri e figlie” in quanto quest’ultimo prevede la possibilità di applicare le disposizioni nazionali e convenzionali con l’intento di evitare la doppia imposizione in senso economico.

A parere di Bruxelles, di conseguenza, a pregiudicare la neutralità fiscale della distribuzione transfrontaliera degli utili distribuiti fra società comunitarie non è tanto l’inclusione dei crediti d’imposta nel calcolo della quota imponibile del 5 per cento ma piuttosto la possibilità, peraltro prevista in deroga per alcune Nazioni europee dall’articolo 5 della direttiva 90/435/CE, di procedere, nello Stato di residenza della controllata, all’effettuazione di ritenute alla fonte che colpiscono la controllante. La normativa nazionale, conclude quindi la Corte, che, come quella francese, includa i crediti d’imposta nel calcolo della quota imponibile del 5 per cento non osta al disposto normativo dettato dall’articolo 4-comma 2 della “direttiva madri e figlie”.