Professionisti e lettera di incarico. Essenziale la precisione per evitare contestazioni sulle prestazioni da retribuire.
Nell’emanare la sentenza n. 16780 – 2014, la Corte di Cassazione ha avuto la possibilità di precisare i confini e la necessaria specificità che la lettera d’incarico tra professionista e cliente deve presentare, essendo vitale che essa provveda a individuare e circoscrivere le prestazioni rientranti nel compenso concordato tra professionista e cliente.
Il Giudice di legittimità é intervenuto per derimere un caso scaturente da un decreto di ingiunzione di pagamento ottenuto da un dottore Commercialista che domandava la soddisfazione delle proprie prestazioni professionali. Tali prestazioni, tuttavia, a dire della resistente, non erano state eseguite in quanto ricondubili ad un diverso accordo tra le parti, in forza del quale la professionista avrebbe dovuto occuparsi della gestione contabile, amministrativa e societaria dell’azienda a fronte di un compenso fisso su base mensile.
Il decreto ingiuntivo, confermato in primo grado a seguito del rigetto dell’opposizione, veniva successivamente revocato in sede di appello, con condanna a restituire le somme incassate in provvisoria esecuzione dello stesso, oltre agli interessi e alle spese e contro tale decisione era depositato ricorso per cassazione con il quale, tra le altre motivazioni, il professionista denunciava il mancato riconoscimento, da parte della corte di appello, dell’“utilità” delle prestazioni professionali dalla stessa erogate nell’ambito del contratto in esame.
Nel considerare quanto sottoposto alla sua attenzione, la Cassazione precisa che la questione non deve essere esaminata sulla scorta del criterio di utilità/non utilità della prestazione professionale, quanto piuttosto su quello, diverso e assorbente, dell’inclusione di dette prestazioni nell’ambito dell’incarico retribuito con compenso fisso mensile. In effetti, la stessa ricorrente aveva lamentato il mancato riconoscimento, in sede di appello, delle seguenti prestazioni, a suo dire inopinatamente escluse dal giudice in quanto già ricomprese nell’incarico fisso mensile: indennità per certificazioni tributarie; onorari per la partecipazione a riunioni presso l’ufficio del lavoro per incontri sindacali e contratti di solidarietà; maggior compenso a titolo di “diagnosi e relativa consulenza generale”. Tale ultima macro-voce era rifertia ad una attività notevolmente complessa, ovvero l’implementazione di un Centro elaborazione dati – CED – all’interno dell’azienda. Questa pretazione era ritenuta dal professionista diversa e ulteriore rispetto alla attività di normale gestione oggetto dalla lettera di incarico, unitamente ad altre attività di riorganizzazione ed analisi che il medesimo professionista, tuttavia, on aveva svolto in quanto era poi sopravvenuto il recesso dell’incarico.
Nel rigettare il ricorso la cassazione riconducenduce il rapporto considerato alla disciplina lettera di incarico per la quale é indispensabile, all’atto dell’instaurazione del rapporto, individuare con chiarezza leprestazioni da remunerare e quelle che, al contrario, costituiscono oggetto di un ulteriore compenso. Questo metodo pare dunque essere, a tutela del professionista, la sola strada percorribile per diminuire il più possibile, gli effetti negativi – e i correlati rischi – di una possibile conclusione anticipata dell’incarico ottenuto.