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Holding e paradisi fiscali

Mio Logo 2014Vi sono holding costituite in Paesi appartenenti alla black list che, pur non producendo redditi soggetti a tassazione privilegiata possono causare l’applicazione del regime delle cosiddette Controlled Foreign Companies di cui all’art. 167 e seguenti del TUIR (c.d. “regime CFC”) per i soci residenti in Italia. Se si ricade in questo regime, i redditi della società holding residente in un paradiso fiscale sono imputati per trasparenza ai soci e sono tassati separatamente con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo purché non inferiore al 27%.

Tuttavia, il comma 5 dell’art. 167 del TUIR prevede due condizioni che consentono la disapplicazione di questa norma che operano in modo autonomo ed indipendente l’una dall’altra. In particolare, il soggetto residente deve dimostrare come:
– “la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento” (salvo le ulteriori condizioni poste dal successivo comma 5-bis della norma); oppure che
– “dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis”.

Ipotizzando il caso di possesso di una partecipazione di controllo in una società holding residente in uno Stato considerato a fiscalità privilegiata che a sua volta risulta unicamente proprietaria di un immobile in Francia, la mera constatazione che dalla partecipazione non consegue l’effetto di localizzare redditi in paradisi fiscali non comporta la disapplicazione automatica del regime CFC. Per ottenere la disapplicazione dell’imputazione “per trasparenza”, occorre interpellare preventivamente l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 11 della L. 27 luglio 2000 n. 212.

Al riguardo, la circ. Agenzia delle Entrate 6 ottobre 2010 n. 51 ha confermato che l’obbligo di interpello sussiste per tutte le CFC e come non sia possibile escludere dalla valutazione preliminare, da condurre appunto in tale sede, determinate realtà imprenditoriali in ragione dell’astratta mancanza di caratteristiche idonee a conseguire fenomeni elusivi.
Nel caso specifico in cui la società partecipata risulta titolare solo di un bene immobile situato, ad esempio, in Hong Kong, potrebbe diventare complesso dimostrare che si svolge un’effettiva attività commerciale: quindi, dovrebbe risultare più semplice dimostrare l’esimente che richiede che dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

Ai fini del riconoscimento di questa esimente, non occorre che i redditi del soggetto partecipato non risultino essere in alcun modo localizzati negli Stati o territori a regime privilegiato: si richiede soltanto che tale localizzazione, qualora sussista, sia non esclusiva.
In altri termini, è sufficiente, ai fini della disapplicazione, che il reddito del soggetto estero partecipato sia soggetto ad imposta anche in uno Stato diverso da quelli a regime fiscale privilegiato, configurando così un prelievo concorrente rispetto a quello operato nello Stato a regime fiscale privilegiato in cui il soggetto estero è residente o localizzato.

A conferma di tale interpretazione si esprime il DM 21 novembre 2001 n. 429, che all’art. 5 comma 3 ha inteso specificare come assuma rilievo, in sede di esame delle istanze di interpello, “il fatto che i redditi conseguiti da tali soggetti sono prodotti in misura non inferiore al 75 per cento in altri Stati o territori” (cioè in Stati o territori diversi da quelli a regime fiscale privilegiato) “ed ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria”. Pertanto, l’esimente in questione prescinde dall’entità del prelievo e sussiste a condizione che i redditi siano assoggettati “integralmente a tassazione ordinaria” in uno Stato o territorio a regime fiscale non privilegiato.

La risposta positiva dell’Agenzia consentirà la disapplicazione della disciplina CFC anche per i periodi di imposta successivi a quello rispetto cui l’istanza produce effetto, purché non siano sopravvenuti mutamenti significativi che possano condurre ad una diversa valutazione del caso.

Sempre bene è ricordare che la risposta dell’Amministrazione finanziaria ha la natura di un parere della stessa e lascia piena discrezionalità al contribuente sul tipo di comportamento da seguire in caso, ovviamente, di risposta negativa. In sede contenziosa il contribuente avrà comunque la possibilità di provare che sussistono le condizioni previste dalla norma che consentono la non applicazione del regime disciplinato dagli artt. 167 e 168 del TUIR.

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