Ammissibile la domanda di risarcimento del danno nel corso del giudizio per risoluzione del negozio.
La Suprema Corte, esprimendosi a Sezione Unite (Corte di Cassazione – SS.UU, Civ., Sentenza 11 aprile 2014, n.8510 componendo un contrasto giurisprudenziale, ha reso il seguente principio di diritto: “La parte che, ai sensi dell’articolo 1453, secondo comma Codice Civile, chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio della stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello ius variandi, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale”.
All’origine della decisione in oggetto troviamo l’ordinanza resa dalla Sez. Seconda Civile, con la quale era richiesto “ai fini della risoluzione del contrasto sulla questione se, convertita in corso di causa la domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell’articolo 1453 comma 2 codice civile, sia consentita anche la proposizione contestuale della domanda di risarcimento danni”.
I fatti di causa possono essere riassunti brevemente come segue: la società A stipulava con la società B contratto di appalto per l’escavazione e la coltivazione di una cava, ricorrendo successivamente in giudizio per domandare l’adempimento coattivo a controparte inadempiente, società B – committente e titolare di diritti di sfruttamento della cava. Poi, in sede d’udienza di precisazione, modificava la domanda prima avanzata, chiedendo ex art. 1453 c.c. la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno. La società B, condannata a risarcire controparte in sede di Appello, provvedeva dunque a depositare ricorso in Cassazione lamentando, in particolare, la falsa applicazione del’articolo 1453, in quanto a suo giudizio non sarebbe stato possibile, e dunque ammissibile, la domanda di risarcimento del danno nel corso di un processo già iniziato..
Tuttavia, nel prendere nozione, e poi decidere, la Cassazione muove immediatamente dalla considerazione secondo la quale l’articolo 1453 cc in parola deve essere interpretato al fine di permettere un esercizio dello ius variandi nella più ampia estensione, affiancando dunque anche alla domanda di risoluzione, e non unicamente a quella di restituzione, l’azione per il risarcimento dei danni.
Essi dunque si esprimono: “L’articolo 1453 del Codice Civile nell’attribuire al contraente deluso la facoltà di chiedere “a sua scelta” l’adempimento o la risoluzione del contratto, offre alla parte che, con la domanda di adempimento, abbia inizialmente puntato sull’attuazione del contratto sul presupposto del suo mantenimento, anche la possibilità – a fronte di un inadempimento che, nel prolungarsi del giudizio, perdura o si aggrava – di rivedere la propria scelta, e, perduti la speranza o l’interesse rispetto alla prestazione, di reagire all’inattuazione dello scambio contrattuale passando alla domanda di risoluzione per inadempimento, onde veder cancellato e rimosso l’assetto di interessi disposto con il negozio”.
Il richiamato ius variandi trova propria giustificazione sistematica nella semplice circostanza che le due azioni, pur con oggetto diverso, perseguono il medesimo obiettivo: evitare il pregiudizio derivante dall’inadempimento della controparte. In sostanza, secondo la Cassazione, la ratio dello ius variandi – offre giusta protezione all’interesse dell’attore vittima dell’inadempimento, specie di fronte al comportamento del debitore convenuto in giudizio, che permane inattivo nonostante sia stato sollecitato a eseguire la prestazione.
A norma dell’articolo 1453 del Codice Civile: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno. La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione. Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione”.