231/01 - Modello Organizzativo Cassazione Diritto Penale

La 231 estende all’ente le garanzie difensive per la persona fisica.

Mio Logo 2014L’art. 34 del DLgs. 231/2001 stabilisce che nel procedimento a carico dell’ente si devono applicare, oltre alle norme previste dal decreto stesso, anche quelle del codice di procedura penale “in quanto compatibili”.
Di particolare rilevanza è la disposizione contenuta nel successivo  art. 35, che estende agli enti – sempre in quanto applicabili – le garanzie difensive che l’ordinamento, sia a livello di legge ordinaria che di rango costituzionale, riconosce nei confronti della persona fisica imputata in un processo penale. All’ente vengono dunque riconosciuti, oltre all’inviolabilità della difesa in ogni stato e grado del procedimento, anche il diritto ad un’informazione tempestiva circa la natura e i motivi dell’imputazione, la possibilità di disporre del tempo per predisporre un’adeguata difesa, la garanzia di poter ottenere l’acquisizione di ogni mezzo di prova a suo favore.

Innanzitutto, quella che potremmo definire la “non obbligatorietà dell’azione”: se, infatti, a livello costituzionale, è previsto che il pubblico ministero sia obbligato a procedere a fronte di una notitia criminis, la disciplina delle indagini preliminari nei confronti dell’ente presenta, viceversa, una peculiarità nell’ipotesi in cui la pubblica accusa si determini a non esercitare l’azione di accertamento. Mentre il citato principio di obbligatorietà vigente per le persone fisiche richiede la formulazione di una formale richiesta di archiviazione da sottoporre al vaglio del giudice, l’art. 58 del DLgs. 231/2001 prevede che nel procedimento quoad societatem l’archiviazione sia disposta direttamente dal pubblico ministero con decreto motivato (salvo controllo gerarchico da parte del Procuratore Generale). Ciò in forza della – discutibile – natura amministrativa della responsabilità prevista in capo agli enti, ribadita precisamente dalla Relazione ministeriale in commento alla disciplina semplificata sancita dall’art. 58.

La disciplina della prescrizione (e dell’interruzione di essa) contenuta nel DLgs. 231/2001 è del tutto autonoma e svincolata dal regime ordinario previsto per il “reato presupposto”. L’art. 22 del DLgs. 231/2001 stabilisce che “le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato”. La norma individua due sole cause interruttive della prescrizione, non coerenti tra loro: la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo ai sensi dell’art. 59. La stessa Relazione ministeriale al decreto specifica le ragioni di questa scelta: “La tipologia degli atti interruttivi, sensibilmente più ridotta rispetto a quella valevole per il reato, è parsa sufficiente in considerazione del regime giuridico degli effetti dell’interruzione che, in seguito alla contestazione dell’illecito, fa sì che la prescrizione non corra fino al passaggio in giudicato della sentenza”.

Ai sensi del terzo comma dell’art. 22, per effetto dell’interruzione della prescrizione inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione, di cinque anni. La regola non vale per l’altra causa interruttiva della prescrizione – contemplata nel comma 4 dell’art. 22 – vale a dire la contestazione dell’illecito amministrativo all’ente: in tal caso, applicando lo stesso principio di cui all’art. 2945 c.c., l’effetto interruttivo è permanente e dura fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

A sua volta, l’art. 60 del DLgs. 231/2001 prevede una causa di decadenza per l’esercizio da parte del pubblico ministero del potere di contestare all’ente l’illecito amministrativo dipendente dal reato, decorso il quale non può più procedersi alla contestazione stessa: “Non può procedersi alla contestazione di cui all’articolo 59 quando il reato da cui dipende l’illecito amministrativo dell’ente è estinto per prescrizione”. Tuttavia, questa norma viene prevalentemente interpretata nel senso che l’estinzione per prescrizione del reato impedisce unicamente all’accusa di procedere alla contestazione dell’illecito amministrativo e non impedisce, invece, di portare avanti il procedimento già incardinato.
Tali particolarità della disciplina sono state recentemente chiarificate dalla Suprema Corte (Cass. n. 20060/2013), che ha precisato che la prescrizione del reato presupposto non fa cadere automaticamente la responsabilità amministrativa dell’impresa prevista dal DLgs. 231/2001, né l’assoluzione di un vertice dell’azienda comporta automaticamente l’assoluzione della società.

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