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Il Contratto di Concessione di vendita (alias Distribuzione) nel diritto Comunitario.

Mio Logo 2014Nella sentenza del 19/12/2013, la Corte di giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata per la prima volta sulla qualificazione del contratto di distribuzione. Tale decisione assume invero una importanza notevole per tutti noi impegnati nella programmazione strategica e nella redazione di contratti multinazionali. E certamente è sempre più importante per il concedente italiano, o esportatore, stipulare contratti con i propri distributori di paesi UE ed EFTA che non solo abbiano una forma scritta, ma sopratutto che possano contare su una disciplina comune. 

Come noto, la nostra legislazione non ha mai ritenuto di dover tipizzare il ruolo e la figura del distributore è rimasta nelle intenzioni dei redattori dei contratti che, tuttavia, spesso si sono scontrati con legislazioni meno flessibili di quella Italiana, affrontando problemi spesso non risolvibili – connessi per lo più alla parificazione – in queste legislazioni – della figura del distributore a quella dell’agente.

E pur battendosi per avocare a sé la giurisdizione in caso di contenzioso, ben poche volte tali tentativi hanno avuto successo anche in presenza di chiare clausole contrattuali in tal senso (ovvero determinazione del Foro competente). E in ogni caso, in assenza di una scelta precisa del foro, quando non si scontri con clausole di applicazione necessaria e dunque inderogabile, ai fini dell’applicazione dell’art. 5.1 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (e del successivo Regolamento UE 44/2001, che l’ha sostituita) la giurisdizione del tribunale adito dipende dalla qualificazione del contratto di distribuzione. A questo proposito, si faceva riferimento all’obbligazione “dedotta in giudizio”, valutando caso per caso quale fosse il luogo di esecuzione di tale obbligazione. Così, ad esempio, se il concedente agiva per il pagamento del prezzo della merce, si guardava al luogo in cui il distributore doveva pagare; se il distributore agiva per violazione dell’esclusiva, si guardava – normalmente – al territorio concesso in esclusiva al distributore.

Successivamente però, il Regolamento 44/2001 ha introdotto un criterio nuovo, distinguendo a seconda che si tratti di un contratto di vendita, nel qual caso, si fa riferimento al luogo di consegna della merce; una prestazione di servizi, nel qual caso, si fa riferimento al luogo in cui i servizi sono prestati.

Pertanto, se l’elemento caratterizzante del contratto di distribuzione è la vendita/fornitura dei prodotti dal concedente al concessionario, il giudice italiano potrà avere giurisdizione nei casi in cui la consegna della merce avvenga in Italia. Se invece si considera caratterizzante l’insieme dei servizi resi dal distributore, sarà competente il giudice del luogo in cui i servizi sono prestati. Di fatto, nella maggior parte dei casi il distributore svolge un’attività che va oltre la semplice rivendita dei prodotti e parrebbe quindi più corretto qualificare il contratto come prestazione di servizi. Infatti, anche il Regolamento 593/2008 (c.d. “Roma I”) indica quale soggetto che svolge l’obbligazione caratteristica del contratto, il distributore (e non il concedente/venditore). Ma ciò non risolve le difficoltà tra partner commerciali che non condividono più gli stessi obiettivi.

Per questa ragione, dunque, si tende sempre a rischiare e, per tutelare l’esportatore italiano, anche in presenza di dette clausole inderogabili, è bene inserire sempre una clausola contrattuale di foro competente in Italia, ovvero una clausola compromissoria. In mancanza, non sarà possibile instaurare un giudizio in Italia, o in una legislazione “amica”, nei confronti del distributore straniero, ma sarà necessario adire i giudici del paese di quest’ultimo. Applicando, invece, la norma sulla vendita, il concedente italiano avrebbe l’opportunità di rivolgersi al giudice Italiano nel caso in cui la consegna dei prodotti, in base al contratto, debba avvenire in Italia.

La decisione della Corte di Giustizia UE, caso Corman–Collins, per la prima volta la Corte ha potuto pronunciarsi sulla qualificazione del contratto di distribuzione e pur con qualche lacuna nelle motivazioni, tale precedente ci fornisce una prima interpretazione. Facendo dunque riferimento all’applicazione dell’Articolo 5.1 b) del Regolamento n. 44/2001, la Corte ha stabilito che i contratti di distribuzione debbano considerarsi come prestazioni di servizi (e non come contratti di vendita) quando le relative istanze concernono: “diritti derivanti da un contratto di concessione, il che presuppone che il contratto vincolante le parti comporti clausole specifiche circa la distribuzione da parte del concessionario della merce venduta dal concedente. È compito del giudice nazionale verificare se ciò effettivamente si verifichi nella controversia di cui è investito.”

Più precisamente, la Corte ha menzionato alcuni elementi da considerare, allo scopo di ravvisare l’esistenza di un contratto di distribuzione e riconducendolo, nella sostanza, ad un contratto di prestazione di servizi:
“1. un’attività positiva, che sembra includere un’esclusiva ed un coinvolgimento del distributore nel far crescere la distribuzione, un coinvolgimento nel piano commerciale del concedente, nelle operazioni di marketing, nell’offrire ai clienti servizi e vantaggi che un semplice rivenditore non potrebbe acquisire;
2. una remunerazione, consistente non necessariamente nel pagamento di una somma di denaro, ma anche in vantaggi competitivi del distributore quale quello di essere rivenditore esclusivo, o di vendere i prodotti del concedente in un determinato territorio, o in ultimo, che un numero molto limitato di distributori possa godere di questi diritti. Per di più, l’accordo di distribuzione comporta spesso l’assistenza al distributore riguardo l’accesso alla pubblicità, trasferimento del know-how per mezzo di periodi di formazione o addirittura servizi di pagamento. Tutti questi vantaggi, la cui sussistenza deve essere valutata dalla Corte nazionale giudicante, rappresentano un valore economico per il distributore che potrebbe essere considerato come costituente remunerazione“.

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